Divieto di educazione sessuale e affettiva nelle scuole medie: la legge Valditara rappresenta una battuta d’arresto per la società intera (non solo per le donne
Una classe di terza media rimane muta; il docente è costretto a sorvolare sul rispetto del corpo perché ora la legge lo vieta. Così debutta il divieto previsto dal disegno di legge Valditara, approvato in Commissione Cultura. Un colpo di scena che congela un tema essenziale proprio nell’età in cui si formano identità e limiti!
Divieto totale alle scuole medie: cosa prevede la legge Valditara
Il nuovo testo impone lo stop a ogni percorso di educazione sessuale e educazione affettiva nelle scuole medie. Nemmeno laboratori sul linguaggio del consenso, né interventi di esperti esterni saranno più consentiti. Resta solo un silenzio normativo che rischia di trasformarsi in vuoto educativo.
I sostenitori parlano di tutela della famiglia, ma la misura spacca in due il diritto all’informazione: alle superiori sopravvive con consenso scritto, agli 11-14enni è negata. La stessa età in cui l’OMS raccomanda percorsi strutturati per prevenire violenze future. Una scelta che contrasta con la direttiva europea del 2024 sul benessere scolastico.
Le opposizioni definiscono la norma una battuta d’arresto che penalizza l’intera società, non solo le donne. A poche ore dal femminicidio di Pamela Genini, il Parlamento opta per il silenzio anziché per l’alfabetizzazione emotiva. L’abisso tra legge e realtà quotidiana si allarga.
Quel vuoto di voci e di banchi vuoti fotografa la situazione meglio di qualsiasi statistica.
Impatto immediato su studenti e docenti
Gli insegnanti raccontano già un disagio palpabile: domande rimandate, curiosità represse, termini cercati di nascosto sullo smartphone. Un’educatrice di Bologna ricorda un’alunna che confondeva consenso con “permesso”: ora non potrà più chiarire l’equivoco in aula. Il rischio è che la rete diventi l’unico mentore, con esiti imprevedibili.
Blocco dell’educazione affettiva: un arretramento che pesa su tutta la società
I dati ISTAT 2025 mostrano che il 38 % degli adolescenti italiani ottiene informazioni sul sesso dai social, contro il 15 % del 2015. Senza scuola, questa percentuale salirà ancora, lasciando spazio a narrazioni distorte. Intanto, Danimarca e Portogallo documentano un calo del 25 % di violenze di genere dopo dieci anni di corsi obbligatori.
Il contrasto europeo appare lampante. Bruxelles ha già aperto una procedura d’attenzione sull’Italia per possibile violazione dei diritti dei minori all’informazione sanitaria. Persino il Consiglio d’Europa, nel rapporto di aprile, definisce la misura un “isolamento educativo” che rischia di creare cittadini vulnerabili.
Bloccare la parola in classe non cancella i comportamenti a rischio fuori dalla scuola. Una studentessa di Milano ha confidato al consultorio di avere subito pressioni dal fidanzato; ora quel consultorio teme un’onda di richieste impossibili da gestire. La legge sposta il problema, non lo risolve.
Lontano dall’Italia, la scena è opposta: laboratori, dialogo, prevenzione. Perché privarsene?
Confronto con l’Europa e rischi futuri
La Germania introduce moduli di “digital intimacy” per arginare revenge porn già in seconda media. La Francia punta su programmi teatrali contro la cultura del possesso. L’Italia, invece, sigilla le porte alle discussioni, rinunciando a strumenti che altrove funzionano.
Molti genitori non applaudono. Un sondaggio Eurispes evidenzia che il 62 % delle famiglie vorrebbe corsi guidati da psicologi scolastici. Il divario tra desiderio sociale e imposizione normativa rischia di generare conflitto e sfiducia istituzionale.
Strumenti alternativi e prospettive di cambiamento
La comunità educante non resta immobile. Associazioni di quartiere già preparano “patto formativo diffuso”, incontri pomeridiani aperti a ragazzi e famiglie. Un tam tam solidale che tenta di supplire all’arretramento scolastico.
Intanto, senatori di minoranza annunciano un emendamento soppressivo per la sessione di novembre. Potrebbe non bastare, ma riaccende il dibattito e costringe la maggioranza a motivare il proprio impianto. Nel frattempo, diverse regioni vagliano protocolli extracurricolari finanziati con fondi europei per continuare il dialogo.
Restituire parola e ascolto agli adolescenti diventa un imperativo etico. Ogni giorno di silenzio radica stereotipi difficili da sradicare. E il Paese non può permettersi di abbandonare l’educazione quando il futuro bussa alla porta.
Se la scuola tace, la società civile dovrà trovare nuove strade per illuminare quel silenzio.
Il ruolo della comunità educante
Biblioteche, centri sportivi e oratori stanno già ospitando sportelli itineranti di consulenza. Uno psicoterapeuta di Verona racconta di incontri dove i ragazzi, liberi da voti, pongono domande che in classe sarebbero rimaste sospese. Questa coralità dimostra che il sapere non si imbavaglia: si sposta, si trasforma, resiste.
“Nessun fiore cresce all’ombra del silenzio” scriveva la pedagogista Milani nel 1978. Oggi quella frase suona come un monito. Fintantoché la legge vieterà alla scuola di coltivare conoscenze, toccherà a ogni angolo della comunità innaffiare la curiosità degli adolescenti.
Source: www.greenme.it
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